Recensione – Ares
Ares
il figlio del fuoco e della terra
di
Katrin Pujia
C’è un timore atavico nel cuore degli uomini che abbraccia amore e furia, fierezza e tormento. Ares, la nuova scultura di Katrin Pujia, accompagna e trascende il tempo e lo spazio, donando al mondo quel fiero senso di determinatezza che solo il cavallo è capace di esprimere.
Nell’opera qui rappresentata è ben visibile una forte componente classicista, che si modernizza nella criniera dorata e ferrosa dell’animale. Un contrasto necessario per provocare nella vista quella contrapposizione distopica tra estetica e bellezza.
L’artista veneta abbandona l’astrattismo e la sintesi delle sue opere precedenti per donarci un mezzobusto romanico. Un volto ben definito che può essere accostato a quello degli imperatori romani.
Ares, il mitologico figlio della terra e del fuoco, rivive oggi dentro a uno spazio delimitato, perdendo le sue sacre, quanto ingiuste, sembianze umane. L’imeneo Dio della furia e del sangue prende invece forma nel quadrupede che più di ogni altro è stato il compagno fedele dell’uomo nel suo percorso di evoluzione e crescita. Un rosso acceso che colpisce gli occhi e scorre, tramutandosi in muscoli e carne, velocità e obbedienza.
Mai come in questo caso la forza della figurazione diventa l’emblema intrinseco del progresso violento del mondo occidentale.
“Marte” nasce dal fuoco e dalla terra, dal refrattario e dallo smalto, diventando, per colpa o per destino, emblema di quella guerra interiore che ogni uomo combatte. Un figlio unico senza padroni e sentimenti che cavalca nei campi elisi della fantasia. Il Dio perduto che si muove come un semplice corpo fra migliaia di altri e si sublima nell’essenza tipica dell’arte genitrice. Perché non può esserci perdono per coloro che hanno abbandonato il saluto al sole e all’unico vero Dio, la natura. Perchè un fiore rinascerà sempre e con esso, tutti quegli istinti atavici, che rendono l’uomo solo.
Dott. Christian Humouda
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